Come veniva uccisa la mia città
di Zivoslav Miloradovic*
, 2001

Fino a quando alcuni dei soldati italiani che sono stati in missione in Kossovo e in Bosnia non sono morti di leucemia, i miei concittadini di Pancevo, avvelenati da pericolose materie chimiche durante i bombardamenti NATO, potevano morire tranquilli, senza che nessuno si preoccupasse di loro. Adesso dovranno farlo davanti agli occhi del mondo. Chi sa se la cosa gli piacerà?

Un mese fa, la pausa nella corrispondenza attraverso email che mantenevo con la famiglia Grujic di Pancevo era diventata insolitamente lunga. Pensavo che il loro computer fosse guasto, distrutto dai frequenti black-out di corrente elettrica. Avevo torto. I Grujic - ero stato testimone al loro matrimonio - vivevano momenti drammatici: il leggero disturbo che ogni tanto si faceva sentire con il loro figlio tredicenne Marko è stato diagnosticato come un tumore ai testicoli. E’ stata fatta un'immediata e molto delicata operazione dopo la quale i risultati della biopsia hanno mostrato che non si trattava di un tumore maligno. 

I Grujic hanno avuto fortuna, il male è stato curato e le ulteriori analisi sono tutte negative. Quando però una cosa del genere capita a qualche altro abitante di Pancevo più anziano, le cose non vanno così lisce. L’ospedale di questa città a venti chilometri da Belgrado, non ha il materiale di base per un normale funzionamento, come d'altronde il resto degli ospedali in Serbia. Si fanno solo gli interventi d’urgenza e ai bambini. Per il resto, prima di entrare in ospedale, ai pazienti viene richiesto di portare il materiale necessario: le medicine, filo di sutura, lenzuola, il cibo…e i soldi, se è possibile.

I medici specialisti tenendo conto anche del lavoro nei turni, possono arrivare a cento euro al mese. Per una vita dignitosa in Serbia ce vogliono almeno cinquecento, mentre lo stipendio medio è di quaranta. Il regime decennale di Milosevic, basato sullo sfruttamento estremo di tutte le risorse, ha portato la sanità della Serbia sull’orlo del disfacimento. E non solo la sanità.

Però torniamo ai Grujic e al loro caso. Nell’archivio del mio computer conservo ancora i messaggi drammatici che questi miei amici mi mandavano durante i bombardamenti della Jugoslavia nella primavera del 1999. La loro casa nel quartiere di Vojlovica, dove vive la maggior parte della popolazione composta da minoranze slovacche e ungheresi, si trova ad alcune centinaia di metri dall’ingresso principale della grande fabbrica di concimi. E sempre dalla loro casa percorrendo la via principale per circa 500-600 metri si trovano gli impianti della gigantesca “Petrohemija”, una fabbrica petrolchimica, la maggior produttrice di polietileni della ex Jugoslavia, mentre la più grande raffineria di nafta della Serbia è situata a soltanto un chilometro di distanza. 

Quando gli aerei NATO il 4 di aprile del 1999 hanno attaccato per la prima volta l’industria chimica di Pancevo, tutto successe così in fretta che i Grujic non ebbero il tempo di scappare. Con un colpo preciso nel cuore stesso della raffineria di nafta, tutto l’impianto fu messo fuori uso. E nella stessa occasione furono uccisi tre operai, gente giovane, però nelle statistiche della NATO quei tre poveracci apparvero soltanto come delle vittime collaterali. L’Alleanza atlantica era troppo occupata ad abbattere Milosevic. Le piccole perdite fra i civili non richiamavano particolarmente l'attenzione.

Il secondo e il terzo attacco all’industria chimica di Pancevo il 12 e il 18 aprile trasformarono questa città in un palcoscenico di una vera e propria apocalisse. I grandi serbatoi di nafta e benzina sono stati colpiti, e dalla fabbrica petrolchimica come dalla fabbrica dei concimi sono stati liberati tutti i demoni della moderna tecnologia chimica. Le prime detonazioni hanno sollevato un po’ il tetto della casa dei Grujic e hanno sfondato la porta che dava sul cortile. Dopo di che è arrivato il fumo, nero e denso, i gas, gli odori insopportabili… 

Come molti abitanti di Pancevo anche loro dovettero fuggire. Mentre il gigantesco fungo minacciava la città per giorni e giorni annunciando l’Armageddon, attraverso le vie della città strisciava il fumo degli idrocarburi bruciati, dai serbatoi uscirono il cloro e l’ammoniaca, mentre grosse quantità di mercurio straripavano dagli impianti. Nella città deserta, si poteva vedere solamente qualche coraggioso passante. Il cloruro di vinile monomero, una sostanza pericolosa e cancerogena, raggiunse in quei giorni una concentrazione diecimila volte maggiore della massima tollerabile. Nei giorni successivi, dopo che il panico e il terrore si calmarono e la gente ricominciò a popolare la città, molte delle donne in gravidanza decisero di abortire. Nell’atmosfera era stata rilasciata una quantità tale di sostanze nocive che non c’era un medico in grado di rassicurare anche minimamente le future madri.

Pancevo era già da anni prima dell’esperimento di Milosevic una città dove si moriva per il cancro. Il rischio era compensato dai salari molto alti che avevano fatto degli operai dell’industria di Pancevo i meglio pagati dell’intera Iugoslavia di allora. Mi ricordo come, in principio come giornalista, e successivamente come redattore capo del giornale locale “Pancevac” fui testimone della formazione dei Verdi e dei loro primi scontri con le autorità locali e centrali. Nel nostro giornale allora venne introdotta per la prima volta la cosiddetta “Pagina verde”, dedicata completamente ai problemi dell’ecologia. Il nemico degli ecologisti era potente e invincibile. Non era solo lo stato e la repressione, ma anche l’idea fissa di una vasta cerchia di cittadini, secondo cui insistere sui problemi ecologici rappresentava in realtà un attacco al loro stesso standard di vita, ai tempi abbastanza alto. Seppure sempre sostenendo gli sforzi dei Verdi come redattore capo, io stesso ho costruito la casa grazie al mutuo ottenuto dalla fabbrica nella quale lavorava mia moglie. Il fatto che i dottori chiamarono una sottospecie di cancro con il nome della mia città mi turbava, però non feci in tempo a spaventarmi. Alle porte stava la guerra civile che ha distrutto il mio paese.
 
Gli anni del terrore e della vergogna dal 1989 fino al 2000 hanno portato al mio paese e ai suoi cittadini la miseria, la rovina e la morte. Il blocco economico e la sfacciataggine del regime ha portato all’impoverimento rapido della popolazione. La miseria e l’assenza di prospettive hanno colpito per primi i più deboli: i vecchi e i bambini. Anche il tasso di mortalità aumentò verso la fine del 1998 e raggiunse il 13 per mille. Durante l’anno seguente, e specialmente prima e dopo il bombardamento, il numero dei casi di morte nella mia città è aumentato a tal punto che i deceduti dovevano aspettare alcuni giorni per il funerale.

Cresceva molto rapidamente anche il numero dei suicidi.  La vita e la morte nella mia città erano diventati sinonimi. Nella via dove abitavo mancavano già parecchie persone che conoscevo. Nei primi anni annotavo tutte quelle morti, però dopo finii con l’abbandonare tutto. E alla fine, dopo tutto il sangue sparso a livello locale, siamo arrivati anche alla democrazia, instaurata nel modo idealizzato dagli strateghi NATO. Dall’altezza di diecimila metri ci sono stati versati sulla testa un ventimila ordigni esplosivi. La distruzione della nostra società che il regime di Milosevic ha cominciato da dentro venne completata dagli eroi della NATO sparando missili come fanno i bambini con le loro playstation.
 
Adesso è di moda parlare dell’uranio con il quale sono stati irradiati i soldati NATO in missione nei Balcani. Cosa fare però della popolazione dei luoghi colpiti? Cosa ne sarà della popolazione sulla cui terra, a parte alcune tonnellate di uranio, è stato disperso anche un numero incalcolabile di altre sostanze chimiche estremamente pericolose per la salute umana? I soldati, come sono venuti, possono anche andarsene. Cosa ne sarà di quelli che dovranno restarci e di quelli che ci nasceranno? Queste domande i Grujic non se le possono fare. Per loro sarebbe troppo.

Un paio di mesi fa alla Serbia ha sorriso la libertà. Si vive di stenti, come si è già fatto, però non c’è più la tremenda pressione della disperazione, della paura e della pazzia prodotta in continuazione. La gente è ancora tutta presa dai problemi della sopravvivenza della propria famiglia. Deve ancora rendersi conto di tutto quello che è stato rovinato durante questi dieci anni e di quanto sia necessario lavorare ancora per raggiungere almeno il livello di dieci anni fa. La preoccupazione fondamentale è come sopravvivere. Tutto il resto, tenendo conto anche degli orrori dell’inquinamento chimico e nucleare, viene nascosto sotto il tappeto dell’indolenza collettiva. La gente semplicemente non riesce a pensare. La morte è diventata ormai cosa abituale in Serbia, nessuno ci fa caso, a parte quelli direttamente colpiti. Dopo tutto, che cosa rimane all’uomo davanti ad un problema del genere se non chiudere bene gli occhi? Cosa puoi fare se sai che sei pieno di veleni, se sei consapevole che in mezzo al latte che bevono i tuoi bambini nuota forse l'uranio impoverito? Scappare? Dove? E da cosa se il veleno è già nel corpo. 

Per questo motivo un articolo come questo non potrebbe mai essere scritto per un giornale in Serbia. Che cosa mai potrei dire, a parte che per tutte le morti che verranno come conseguenza dei bombardamenti riceveranno le condoglianze dei paesi europei e delle loro istituzioni democratiche. E questa non è proprio una grande consolazione.


*Zivoslav Miloradovic, è l'ex direttore del giornale locale di Pancevo (Serbia); oppositore di Milosevic, è esiliato politico in Italia dal 1994.

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