NO all’ergastolo per i soldati che rifiutano di partecipare alle forze d’occupazione Giorgio Riva
(Articulo per Il
Manifesto) Dal momento dell’invasione dell’Iraq il numero di soldati che fuggono dall’esercito britannico è triplicato e il governo sta correndo ai ripari.
In parlamento si discute l’Armed Forces Bill, una radicale revisione delle legge militare. La Section 8 prevede che i soldati che “disertano” dal servizio in un’”occupazione militare di un paese o territorio straniero” possono prendere l’ergastolo.
Per contro, per il reato di “condotta disdicevole di tipo crudele od oscena”, per esempio contro le/i civili iracheni, è prevista una condanna massima di due anni.
Nello stesso tempo John Reid, il Ministro della Difesa, invita pubblicamente a riscrivere la Convenzione di Ginevra per legalizzare l’azione militare preventiva: la tradizionale politica imperiale inglese viene aggiornata a complemento della “guerra senza fine” di Bush.
Quest’attacco è la prova dell’esistenza del movimento, crescente ma nascosto, di uomini e donne all’interno dell’esercito che rifiutano di combattere in guerre o occupazioni presenti e future, in Afghanistan, Iraq, Iran. . . La Section 8 minerebbe alla base il diritto umano, anzi l’obbligo morale dei soldati di rifiutare l’ordine di prestare servizio in occupazioni illegali risultato di guerre illegali.
Nelle forze armate britanniche vige la semi-schiavitù: i soldati non possono dimettersi senza aver prima portato a termine cinque anni di servizio. Quelli tra i 16 e i 18 anni (l’obiettivo principale dei reclutatori) se non si dimettono entro sei mesi dopo l’arruolamento sono obbligati a prestare servizio, anche in un’occupazione, fino a che ne hanno 22.
Anche prima dell’approvazione della Section 8, i refusenik britannici sono soggetti a un pesante attacco. Due settimane fa il Tenente Malcolm Kendall-Smith, un medico della RAF, è stato condannato a otto mesi per essersi rifiutato di andare in Iraq. Il giudice della corte marziale ha negato il diritto e la responsabilità che Kendall-Smith ha secondo i Principi di Norimberga di rifiutare la complicità con azioni criminali.
L’Armed Forces Bill è in parlamento da novembre. Dai media si è levato poco meno di un sussurro. Silenzio assordante da parte perfino dei politici che si oppongono alla guerra in Iraq.
Payday ha fatto circolare un messaggio di emergenza con un modello di lettera indirizzata agli ambasciatori britannici in tutto il mondo. In pochi giorni la nostra petizione on-line (www.refusingtokill.net) per l’eliminazione della Section 8 dal progetto di legge ha raccolto firme da almeno 19 paesi, dall’Argentina agli Stati Uniti, a riprova dell’indignazione che questa misura suscita una volta che la gente sa.
Osman Murat Ülke, un
obiettore di coscienza turco che al Tribunale Europeo dei Diritti Umani ha
vinto il diritto a non essere incarcerato ciclicamente per il suo rifiuto,
ha dichiarato sulla Section 8: “Un soldato è sempre un essere umano e
non un’estensione meccanica dell’apparato militare. Nessun contratto,
giuramento o legge può cambiare questo fatto.” Rose Gentle aveva un figlio, Gordon, ucciso in Iraq. Adesso conduce una campagna con Military Families Against the War, e ha detto: “A un genitore si spezza il cuore quando un figlio difende i suoi diritti e prende l’ergastolo. Non viene condannato solo lui, ma anche tutta la sua famiglia.”
Madri come Rose Gentle nel Regno Unito e Cindy Sheehan negli USA conducono una campagna contro le uccisioni e i ferimenti dei loro cari e della popolazione civile e militare in Iraq e altrove, ed esigono che le truppe siano riportate a casa da una guerra che nessuno vuole.
È responsabilità del movimento internazionale contro la guerra di appoggiare i refusenik di tutto il mondo e di partecipare a questa campagna contro la Section 8.
Come ha dichiarato Ben Griffin, un soldato del corpo speciale delle SAS
che ha rifiutato di ritornare in Iraq: “Non mi
sono arruolato nell’esercito britannico per portare avanti la politica
estera americana.” Giorgio Riva fa parte di Payday, una rete internazionale di uomini che lavorano con lo Sciopero Globale delle Donne, per una società che investa nella cura della vita, non nella morte. |