Voci contro la guerra
La pellicola è prodotta da Payday « una rete di uomini che lavora con lo Sciopero globale delle donne» (www.refusingtokill.net) e di cui fa parte l'autore. Un lavoro serio e toccante che non indulge nella facile retorica, ma fornisce dati e testimonianze. Sono state 180 le guerre seguite alla fine del secondo conflitto mondiale, quasi tutte nel Terzo Mondo, e mosse dall'Occidente. Hanno provocato 40 milioni di morti e centinaia di milioni di rifugiati. Mentre i numeri sfilano sullo schermo, la voce di James Fairweather, veterano della Seconda guerra mondiale di origine giamaicana, dice di aver faticato a comprendere, come mai fosse stato arruolato dai bianchi per combattere altri bianchi; e perché, a guerra finita, quegli stessi bianchi gli avessero negato la dignità di persona.
Altre testimonianze mostreranno poi che è soprattutto nelle fasce povere e nei ghetti che l'esercito statunitense compra carne da cannone, al prezzo di un contratto di 20.000 dollari. Anzi - afferma il pacifista Lou Plummer - l'esercito chiede agli istituti superiori di segnalare per tempo chi potrebbe accettare l'offerta. E così sono oltre 40.000 gli immigrati che combattono per la bandiera a stelle e strisce. Ma c'è anche chi, come il marine gay Stephen Funk, si arruola per un malriposto problema di identità per poi scoprire a proprie spese che l'identità è la prima cosa che l'esercito nega: «non si può dire io, ma sempre questa recluta e poi ti chiedono di gridare: uccidi, uccidi».
Le voci che rifiutano hanno lo stesso accento in Nordamerica come in Israele. Nello stato ebraico sono ancora poche le donne che dicono no alla divisa, ma il film mostra alcune giovanissime, decise a rifiutare un regime militare che cerca di intrupparle fin da bambine. E lo studente Asraf Shtuff Trauring afferma: «In Israele, quello che per alcuni miei amici sarebbe l'esercito più etico del mondo, uccide i bambini nei territori occupati e controlla la vita di 3,5 milioni di palestinesi». Oggi sono oltre 1.000, tra soldati e ufficiali, i refusenik israeliani: «siete la nostra speranza», hanno scritto loro alcune famiglie palestinesi i cui figli sono morti nell'Intifada.
Una speranza sottile, racchiusa in poche cifre simboliche: i 111 marine renitenti alla Guerra del Golfo, quelli che oggi rifiutano di combattere in Iraq. Numeri piccoli, a fronte di quei 20.000 che rifiutarono la guerra del Vietnam, sostenuti da uno straordinario movimento di massa che nascondeva gli obiettori clandestini, determinato a fare intendere le proprie ragioni. http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/06-Luglio-2006/art84.html |