Liberazione, 2 novembre 2005

 

Mehmet Tarhan si trova nella prigione militare di Sivas dall'8 aprile. Dal 30 settembre è in sciopero della fame

 

Mehmet, obiettore e omosessuale nell'inferno delle carceri turche

 

Giorgio Riva e Anne Neale - Londra

 

Mehmet Tarhan, un attivista gay anarchico turco, obiettore di coscienza totale, che rifiuta tutte le guerre e qualsiasi servizio alternativo al militare, è stato condannato il 10 agosto a quattro anni per “insubordinazione di fronte all’unità”. La Turchia è firmataria della Convenzione Europea sui Diritti Umani che riconosce l’obiezione di coscienza, ma non ha mai redatto una legge nazionale sull’obiezione di coscienza o il servizio alternativo.

 

Mehmet Tarhan si trova nella prigione militare di Sivas dall’8 aprile. Al suo arrivo, altri detenuti, con la connivenza delle guardie, lo hanno massacrato di botte, minacciandolo persino di fronte al suo avvocato, e lo hanno obbligato a telefonare alla sorella perché portasse vestiti, camicie e scarpe che sono state passate dalle guardie ai suoi assalitori. In un primo sciopero della fame di 28 giorni, Mehmet Tarhan è riuscito a ottenere una visita da parte dei medici civili e una cella solo per sé, a salvaguardia della sua incolumità.

 

Il 9 giugno il giudice militare lo ha rilasciato, ma, dato che i militari lo considerano un soldato, lo hanno riportato in caserma, dove il ciclo di detenzione e procedimento legale è ricominciato subito.

 

Nel processo del 10 agosto accusa e giudici insistevano perché accettasse l’esenzione dal servizio sulla base della sua omosessualità, che i militari definiscono una malattia “marcia”. Mehmet Tarhan ha rifiutato questa possibilità – non è malato, è il sistema militaristico a essere marcio. E che lo sia lo dimostra il tipo di prove che, in una pratica arbitraria ma molto nota, i medici militari esigono per l’esenzione: una visita anale manuale e prove visive come foto (o, meglio, un video, ci ha detto il suo avvocato) di un atto di penetrazione sessuale. Chi è penetrato è gay, chi penetra no. L’equivalente del famigerato “test di verginità”, che polizia ed esercito turchi usano da decenni come pretesto per compiere stupri e altra violenza sessuale contro le donne, in particolare le donne curde.

 

Mehmet dovrebbe uscire alla fine del 2006. Ma è sempre considerato un militare, potrebbe venire immediatamente riportato in caserma e, se disubbidisce agli ordini, essere processato e condannato un’altra volta. La cosa si potrebbe ripetere fino a che la legge turca lo considera idoneo alla chiamata alle armi, anche fino a 55 anni. Mehmet ne ha 27.

 

L’avvocato è ricorso in appello ma non si sa ancora la data dell’udienza.

 

Dentro il carcere c’è un regime da caserma: Mehmet, che insiste a considerarsi un civile, non rispetta la disciplina militare e viene spesso punito con l’isolamento. Chiuso in una celletta e spesso senza neanche l’ora d’aria. I capelli e la barba vanno tagliati – a forza, se necessario. Il 30 settembre Mehmet Tarhan ha rifiutato il taglio ed è stato aggredito dalle guardie. Ali Düler, un detenuto accorso in suo aiuto, è stato assalito anche lui. In una telefonata dalla prigione Tarhan ha dichiarato il giorno stesso:

 

"Oggi alle 15 il sottufficiale Hilmi Savluk, accompagnato da altre tre o quattro guardie, mi ha detto che dovevo tagliarmi i capelli. Poi sette o otto persone usando la forza e la tortura mi hanno tagliato i capelli e la barba ma non sono riusciti a tagliarmi i baffi. Dopo la tortura del ‘taglio dei capelli’ ho dolori alla testa, alle mani, al braccio sinistro perché ci sono montati sopra, al piede sinistro, e ho ferite e lividi al braccio e sulle gambe. Non riesco a muovere la testa perché mi fanno male la faccia e il collo.”

 

L’altro detenuto, che ha riportato ferite alla testa, è stato visitato da medici civili. Mehmet è stato “esaminato” solo da medici militari. In tuta mimetica, gli sono girati intorno per dieci minuti.  Hanno deciso stava bene.

 

Dal 30 settembre Mehmet Tarhan è in sciopero della fame.  Vuole la punizione delle guardie che lo hanno assalito, una visita da parte di medici civili e i sostituti alimentari necessari per lo sciopero.

 

Perché Mehmet qualche nozione medica ce l’ha.  Sua sorella Emine ci racconta come tra il 1995 e il 2000 Mehmet abbia lavorato come veterinario per il governo turco vicino a Diyarbakır, a Lice, che nel 1993 era stata praticamente rasa al suolo dall’esercito in un’operazione contro la guerriglia curda.  Mehmet venne cooptato a lavorare per la commissione medica militare.  Dopo quell’esperienza, si licenziò dal lavoro e si dichiarò obiettore di coscienza. 

 

Il caso di Mehmet Tarhan è noto fra gli attivisti dei vari movimenti di base di tutto il paese. Mehmet è la cima di un iceberg antimilitaristico. I renitenti alla leva in Turchia sono 350-500.000 e molti sono Curdi, che si rifiutano di attaccare la propria gente nel Sud-Est, assalire villaggi, torturare, stuprare e uccidere civili, sparare su manifestazioni pacifiche...  Molti altri giovani rifiutano le dure condizioni della vita militare - lontani da casa e pagati una miseria - in un paese vastissimo dove i militari sono una presenza permanente nelle città come nei posti di blocco nelle più remote aree rurali. L’intera società è controllata, militarizzata e in guerra.

 

L’Iniziativa di Solidarità con Mehmet Tarhan www.mehmettarhan.com è a maggioranza di donne.  Gli avvocati che hanno inizialmente preso in mano il suo caso sono anche loro donne.  Qui come dappertutto la spina dorsale dei movimenti contro la guerra e le organizzatrici più determinate ed efficaci delle campagne per la giustizia per i loro cari. Cindy Sheehan negli Stati Uniti e Rose Gentle nel Regno Unito, tutt’e due madri di giovani soldati uccisi in Iraq, ne sono solo l’esempio più visibile.

 

Hatice, la madre di Mehmet, non si stanca di riaffermare il suo orgoglio per la presa di posizione del figlio, nonostante la salute precaria e lo sfratto dalla sua casa di Istanbul. La famiglia ha perso due salari di uomini, perché anche il fratello minore Yusuf è stato chiamato alle armi.

 

Emine si imbarca in viaggi interminabili ogni due settimane sui 900km tra Istanbul e Sivas (14 ore di pullman fatte in due notti successive) per andare a trovare Mehmet e portagli le notizie e l’appoggio del movimento. Riesce raramente ad avere un contatto fisico con il fratello, quasi invisibile dietro sbarre e filo spinato perfino in parlatorio e sempre alla presenza di due guardie. Quello che Emine riferisce delle sue visite contribuisce in maniera cruciale alle manifestazioni che si sono ripetute in molti posti in Turchia e del mondo, perché Mehmet non può spedire posta all’estero.

 

La condanna di Mehmet a quattro anni è un segnale per il movimento internazionale per i diritti delle lesbiche e dei gay e contro la guerra. Come molte lesbiche/gay/bisessuali di base, Mehmet Tarhan rifiuta l’”eguaglianza” propugnata da alcune/i nel movimento delle lesbiche e dei gay di poter arruolarsi e godere di un “eguale diritto” a uccidere. L’integrazione in un esercito che bombarda, uccide, stupra e tortura non è una vittoria da celebrare in nessun caso.

 

Rispondendo a una lettera della parlamentare europea Caroline Lucas, l’ambasciata turca di Londra ha giustificato la condanna di Mehmet dicendo: “L’obiezione di coscienza viene riconosciuta nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, ma ci sono Stati membri che ancora non [la] riconoscono.” Il caso di Mehmet Tarhan quindi è fondamentale per stabilire il diritto all’obiezione di coscienza oltre che in Turchia anche in Grecia, in Finlandia, a Cipro nell’Unione Europea e quelli delle lesbiche e dei gay in Turchia e dappertutto.

 

Le autorità turche devono sapere che il mondo le sta osservando. Per il loro razzismo antimussulmano molti governi europei sono ostili all’entrata della Turchia nell’Unione. Quelli che sono a favore vogliono usare l’entrata della Turchia per minare ulteriormente i nostri diritti umani e aggiungere uno scagnozzo degli Stati Uniti agli alleati che Berlusconi e Bush già vantano in Europa. La campagna in appoggio a Mehmet Tarhan è essenziale per mantenere i diritti civili in Europa, minacciati oggi da tante parti.

 

Molte organizzazioni anti-militariste, anarchiche, di donne, di lesbiche e gay e per i diritti umani appoggiano Mehmet Tarhan e per il 9 dicembre si sta organizzando una giornata internazionale di lotta. Numerosi parlamentari europei hanno espresso il loro interessamento e Vittorio Agnoletto ha presentato un’interrogazione a Strasburgo. Payday e Wages Due Lesbians (Lesbiche per il Salario Dovuto) hanno dato pubblicità a Mehmet Tarhan nella maniera più ampia che c’è stato possibile, organizzando anche delle proteste internazionali fuori delle ambasciate e consolati turchi a Londra, Venezia e New York e sul sito web di Payday www.refusingtokill.net. Invitiamo tutti a far pressione sui loro parlamentari europei perché intervengano con le autorità turche.  Lo sciopero della fame è arrivato adesso a un momento critico e Mehmet può ancora subire le violenze dalle guardie, perché il taglio dei capelli e della barba avviene ciclicamente.

 

Assieme a Mehmet, alla sua famiglia, ai suoi sostenitori in Turchia, rivendichiamo e difendiamo i nostri diritti umani: il diritto all’obiezione di coscienza, il diritto di rifiutare di uccidere, il diritto alla scelta sessuale, Il diritto di vivere in un mondo libero da guerre e dittature, un mondo che investa nella cura della vita, non nella morte.

 

Payday and Wages Due Lesbians esigono immediatamente la concessione di tutte le rivendicazioni di Mehmet Tarhan per la fine del suo sciopero della fame e la liberazione sua e di tutti gli obiettori di coscienza.

    

 

·      Giorgio Riva appartiene a Payday, una rete internazionale multirazziale di uomini, gay ed etero, che lavora con il Global Women’s Strike (Sciopero Globale delle Donne) payday@paydaynet.org, www.refusingtokill.net

 

·      Anne Neale fa parte di Wages Due Lesbians, una rete internazionale multirazziale che conduce una campagna per i diritti economici, legali e umani delle donne lesbiche/bisessuali. wdl@allwomencount.net, www.allwomencount.net

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